Valutazione del rischio espositivo e degli effetti del fumo di sigaretta in ambiente di lavoro: valutazione di eventuali effetti precoci mediante il test della cometa in linfociti e cellule uroteliali

Data inizio
14 febbraio 2002
Durata (mesi) 
24
Dipartimenti
Diagnostica e Sanità Pubblica
Responsabili (o referenti locali)
Fracasso Maria Enrica
Parole chiave
Fumo attivo, fumo passivo, linfociti, cellule uroteliali, comet test, nicotina,

Gli studi condotti sugli effetti genotossici del fumo di tabacco hanno dimostrato come questo sia responsabile del 80% dei tumori maligni del polmone e della laringe, ed inoltre sia coinvolto nello sviluppo dei tumori della vascica, rene, pancreas, cervice uterina, stomaco, esofago e leucemia mieloide cronica. La IARC (International Agency for Research on Cancer) nel 1986 ha riconosciuto il fumo di tabacco come cancerogeno di calsse A1. Propip quest'anno la IARC ha incluso il fumo passivo tra le sostanze sicuramente cancerogene, valutando il rischio di sviluppare una neoplasia polmonare per gli esposti in modo passivo tra il 20% e il 30% maggiore rispetto ai soggetti mai esposti. Il fumo passivo ed i rischi per la salute dei lavoratori che ne subiscono gli effetti dannosi costituisce sempre più un problema rilevante che deve essere adeguatamente affrontato dal datore di lavoro conformemente alle norme di prevenzione vigenti. Da tempo la Corte Costituzionale ha affermato "la necessità di apprestare una più incisiva e completa tutela della salute dei cittadini dai danni cagionati dal fumo passivo trattandosi di un bene fondamentale e primario costituzionalmente garantito". Tra i vari metodi utilizati per stimare l'azione di sostanze genotossiche, il test della cometa (SCGE, Single Cell Gel Electrophoresis), è la tecnica migliore per valutare il danno al DNA in singole cellule. Il test della cometa è una tecnica in grado di valutare il danno al DNA in cellule signole sia in ciclo riproduttivo che in quiescenza. Richiede piccoli campioni di sospensione cellulare ed i risultati si possono ottenere in pochi giorni. Questa tecnica introdotta per la prima volta da Östling e Johanson e successivamente ripresa ed adottata da Singh et all., utilizza una microelettroforesi per visualizzare il danno al DNA in singole cellule.
Le cellule, imprigionate in uno strato di agarosio e lisate, vengono sottoposte ad elettroforesi. Durante l’elettroforesi gli eventuali frammenti di DNA migrano dal nucleo verso l’anodo della camera elettroforetica fornendo al microscopio ottico l’immagine di una cometa, da qui poi il nome “Comet Test”. Poiché le rotture su singolo filamento e su siti alcali labili, indotte da agenti genotossici, sono più frequenti di quelle evidenziabili su doppio filamento, questa versione ha offerto un grande incremento della sensibilità del metodo.
Il comet test può essere utilizzato per analizzare il danno al DNA in diversi tipi di cellule eucariote. Le cellule umane più frequentemente usate sono i linfociti, che oltre a risultare facilmente reperibili, presentano il vantaggio di costituire una popolazione cellulare sincronizzata nella fase G0 del ciclo cellulare. Inoltre hanno un’emivita sufficientemente lunga per permettere di essere impiegati negli studi di esposizione occupazionale ed ambientale. La tecnica SCGE può essere applicata per studi di genotossicità anche in altre popolazioni cellulari diverse dai linfociti, come ad esempio cellule epiteliali, cellule di sfaldamento vescicale, ecc.
La valutazione del comet test si esegue attraverso l’utilizzo di parametri caratterizzanti la cometa: “tail lenght”, ovvero la lunghezza della coda in µm, “tail intensity” ovvero la percentuale di DNA migrata nella coda che si basa sull’intensità di fluorescenza presente nella coda stessa. Questo parametro detto “tail moment” è definito come il prodotto fra la percentuale del DNA nella coda e la lunghezza della coda considerata dal centro della testa.
Il comet test offre dei vantaggi in quanto è sufficientemente sensibile nel riconoscere danni al DNA in singole cellule (rotture in singolo filamento, mal riparazioni, apoptosi) e presenta una relativa semplicità e rapidità di esecuzione. Un altro grosso vantaggio è l’uso di quantità di cellule campione estremamente basse. Questo metodo, inoltre, può dare informazioni di genotossicità diretta come dare informazioni sull’abilità di composti epigenetici e genotossici indiretti che interferiscono nei processi di riparo del danno subito.
Il come test rivela non solo rotture al DNA ma anche la presenza di cellule apoptotiche. L’apoptosi è il processo attraverso cui gli organismi eliminano le cellule danneggiate, precancerose o in eccesso. E’ caratterizzata da una serie di alterazioni distinguibili morfologicamente che includono condensazioni, frammentazioni e fagocitosi. E’ un evento programmato geneticamente che richiede trascrizione genica attiva. La cellula che subisce danni citotossici muore per apoptosi. Nel comet test la cellula apoptotica appare come una nuvola (cloud) senza testa e con la coda dovuta ad un’elevata frammentazione del DNA.

Partecipanti al progetto

Marzia Cerpelloni
Maria Enrica Fracasso
Paola Franceschetti
Luigi Perbellini

Attività

Strutture

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